Stanchezza, emicrania, insonnia, dolori addominali, persino ansia e depressione: sono solo alcuni dei sintomi del Long Covid, la sindrome che accompagna per settimane o mesi una buona parte dei pazienti guariti dal Covid-19.
I pazienti con il Long Covid spesso manifestano più sintomi insieme (in genere da 3 a 5) e sono costretti ad assumere più farmaci, ciascuno con i propri effetti collaterali. Ma se esistesse un solo farmaco “universale” efficace contro tutti i sintomi?
Uno dei possibili candidati è la cannabis, e in particolare due suoi componenti, il cannabidiolo (CBD) e il cannabigerolo (CBG), già noti per le loro proprietà antinfiammatorie. In Brasile e nel Regno Unito sono già partiti due studi che valuteranno gli effetti di un estratto di CBD di grado farmaceutico su persone affette da Long Covid, tenendo traccia delle eventuali variazioni nei sintomi per tutta la durata del trattamento.
I numeri del Long Covid
Sul Long Covid ci sono ancora molte più domande che certezze, e soprattutto molti più sintomi. Un sondaggio su quasi 4000 persone pubblicato su eClinicalMedicine ha riportato ben 203 sintomi, e una sessantina persistono anche dopo 7 mesi. I più comuni sono stanchezza, fiato corto, problemi cognitivi, emicrania, insonnia, nausea, vertigini, formicolii, dolore articolare, debolezza muscolare, irregolarità del ciclo mestruale.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, questa sindrome ha colpito solo in Europa circa 17 milioni di persone nei primi due anni della pandemia, con una durata dei sintomi di almeno 3 mesi. In tutto il mondo, le persone che hanno fatto (o stanno facendo) i conti con il Long Covid potrebbero essere addirittura 100 milioni. E non è ancora chiaro quali siano i fattori di rischio e i danni a lungo termine sulla salute.
Le cause del Long Covid
Non esiste solo una causa per il Long Covid, ma almeno 4 meccanismi che possono potenziarsi tra di loro e l’infiammazione sembra avere un ruolo fondamentale. Anche nella fase acuta dell’infezione, le forme gravi di Covid-19 sono sempre legate a una forte risposta infiammatoria che sfugge al controllo dell’organismo e può causare danni a organi e tessuti.
Un’infiammazione cronica persistente potrebbe essere quindi la prima causa del Long Covid: nel sangue dei pazienti è stata riscontrata la presenza di citochine infiammatorie e di cellule immunitarie ancora attivate fino a 8 mesi dopo l’infezione.
Una reazione autoimmune dell’organismo verso se stesso sarebbe invece il secondo meccanismo. Per ragioni ancora poco chiare, i pazienti con Long Covid sviluppano degli “autoanticorpi”, ovvero anticorpi che reagiscono erroneamente con tessuti e proteine dell’organismo di appartenenza, che permangono anche un anno dopo l’infezione.
Una terza ipotesi sostiene che la causa del Long Covid sia la permanenza di SARS-CoV2 nell’organismo, che spiegherebbe perché a distanza di un anno dall’infezione alcuni pazienti hanno ancora bassi livelli della proteina spike del virus nel sangue.
Il quarto e ultimo meccanismo è il danno alle cellule endoteliali che esprimono la proteina ACE2 (la porta di accesso del virus nelle cellule). Queste cellule rivestono i vasi sanguigni, compresi quelli che formano la barriera ematoencefalica: potrebbero quindi spiegare i disturbi cognitivi (perdita di memoria, confusione, depressione) o la formazione di micro-coaguli che danneggerebbero gli altri organi e tessuti (alcuni pazienti con Long Covid ricevono benefici dalla terapia con anti-coagulanti).
Qualunque sia la causa del Long Covid, è chiaro che siamo di fronte non a “una” malattia, ma a “tante” malattie diverse.
Medici e ricercatori stanno ancora cercando di orientarsi in questo mare magnum di sintomi. Nel Regno Unito è in corso lo studio STIMULATE-ICP per identificare sottogruppi di pazienti con sintomi specifici e migliorare la diagnosi e il trattamento del Long Covid. Nel 2021 è partito anche lo studio RECOVER del National Institute of Health (NIH), che valuterà l’efficacia di diversi immunosoppressori, immunostimolanti, corticosteroidi e antivirali per correggere le disfunzioni delle cellule immunitarie.
La cannabis medica per il Long Covid
Tra le opzioni terapeutiche per il Long Covid sta suscitando grande interesse anche la cannabis medica.
Grazie alle sue proprietà anti-infiammatorie e lenitive, potrebbe contrastare efficacemente la maggior parte dei sintomi del Long Covid.
In effetti, la cannabis e i suoi principi attivi hanno dimostrato una potenziale efficacia anche contro le forme gravi di Covid-19. Vari studi suggeriscono che gli estratti di CBD riducono l’espressione di ACE-2 e la produzione di citochine infiammatorie. Ma anche il THC sembra ridurre la mortalità da sindrome respiratoria acuta, perché abbassa i livelli di citochine infiammatorie e di cellule immunitarie attivate. Entrambi CBD e THC, inoltre, hanno un’attività antivirale in vitro.
I recettori endocannabinoidi sono presenti in tutto l’organismo e i cannabinoidi endogeni, cioè quelli prodotti all’interno del corpo umano, regolano tantissimi processi fisiologici. Hanno un’azione antinfiammatoria e agiscono sullo stimolo della fame, sull’umore e sulla mancanza di sonno. Interagiscono con la memoria, con la cognizione e con lo stimolo del dolore e sono fondamentali per il mantenimento dell’omeostasi.
Due studi clinici
Nel corso dell’ultimo anno, sono iniziati due studi pionieristici che valuteranno l’efficacia dell’estratto di CBD contro i sintomi del Long Covid.
Il primo è uno studio clinico in doppio cieco condotto da InCor, l’Istituto del Cuore della Scuola Medica Universitaria di San Paolo, in Brasile. Per un periodo di tre mesi, 290 pazienti con Long Covid hanno ricevuto un estratto di CBD ad ampio spettro o un placebo. Dopo questa prima fase, che si è conclusa nella prima metà del 2022, è stato avviato uno studio di fase 4 con 1000 soggetti.
Il secondo è uno studio di fattibilità attualmente in corso nel Regno Unito, promosso dall’azienda Drug Science. Per un periodo di 6 mesi, 30 pazienti riceveranno un estratto di CBD ad ampio spettro e registreranno eventuali variazioni nei loro sintomi. Al momento, i ricercatori non hanno ancora presentato dati ufficiali, ma i pazienti stanno rispondendo bene e per ora nessuno ha abbandonato il trattamento.
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